Felicità, gli italiani cercano il benessere. Parola all’esperto.

Felicità. Nel corso dei secoli filosofi, poeti, personaggi significativi della storia hanno cercato di spiegare cosa fosse la felicità. Che sia un “bicchiere di vino con un panino”, un diritto o solamente un’utopia, la cosa certa è che la felicità è un’esigenza primaria dell’uomo. Lo sa bene Richard Romagnoli, Ambasciatore nel mondo di Yoga della risata e Life Coach, che negli anni ha insegnato a milioni di persone come riuscire ad essere felici. Pochi mesi fa lo abbiamo intervistato, con l’intento di capire quanto sia importante per gli italiani la ricerca della felicità rispetto agli altri popoli del mondo. L’intervista comincia da “Happy Genetica”, il progetto editoriale che Richard ha avviato con il Professor Pier Mario Biava, medico e ricercatore scientifico sul cancro.

 

Richard, sappiamo che recentemente sta ultimando il suo ultimo libro, nato dalla collaborazione con il Professor Biava, “Happy Genetica”. Le va di raccontarci in breve com’è nato e i punti chiave?

Ho conosciuto il Professor Biava in occasione di un evento al Teatro Del Verme a Milano al quali entrambi abbiamo partecipato come speakers. Io ancora non lo conoscevo. Quando ho concluso il mio speech il Professore è venuto a complimentarsi con me. La sera stessa ci siamo incontrati al ristorante, dove era presente anche il Professor Laszlo, due volte candidato al premio Nobel per la pace, e da lì è cominciata la nostra amicizia. Quello che lo ha colpito del mio intervento a Milano è stato il riconoscere nelle mie parole, nella mia energia e anche nella metodologia delle tante tecniche che propongo, quello che per lui ha vanto dal punto di vista della ricerca scientifica: quando noi ci focalizziamo su un pensiero, quel pensiero che è energia, può diventare materia, per esempio un’azione e quell’azione può impattare con una, due, migliaia di altre persone. Se noi, pertanto, abbiamo a che fare con pensieri felici, positivi, che nascono dal nostro sé e non si confondono nelle intemperie mentali della vita, tutto ciò avrà un riflesso dello stesso tipo energetico nelle cose materiali che possiamo creare, nelle azioni, nelle parole e nell’interazione con l’ambiente e con gli altri. Il Prof. Biava ha voluto approfondire meglio la tematica della risata, dal punto di vista scientifico. Le ore deliziose spese insieme hanno portato all’idea di mettere i nostri colloqui sotto forma di libro. Il titolo nasce dal termine “epigenetica” la branca scientifica in cui il professore è specializzato, che per una geniale intuizione di mia moglie Sara è diventato Happy-genetica.

Il Prof. Pier Mario Biava e Richard Romagnoli (nella foto da sinistra) a Benessere dell’Anima 2016 (Milano).

 

Rispetto a qualche anno fa e in base alla tua missione di Ambasciatore nel mondo di Yoga della risata e Life Coach, quanto è cresciuta la richiesta e la partecipazione ai tuoi training esperienziali (Workshock)?

La richiesta è cresciuta in maniera esponenziale, un incremento a due cifre in percentuale. Sono trascorsi cinque anni da quando ho cominciato la mia attività in Italia; sono tanti anni, ma in realtà pochissimi per una crescita così significativa dal punto di vista lavorativo. C’è una forte ricerca nelle persone del benessere, che deve avere però un’attuazione pratica. Quando ad esempio parlo di spiritualità, non intendo il mettersi con le gambe incrociate, attendere venti minuti prima di parlare e poi, nella speranza di essere connessi con chissà cosa, farlo. Per me la spiritualità è tutto, qualsiasi istante; per questo amo parlare di spiritualità pratica. Questa esigenza nella gente è molto forte. Il fatto di essere ambasciatore nel mondo dello Yoga della risata mi ha dato la possibilità di constatare che in qualsiasi posto io vada, che sia in Asia, in Europa o nelle Americhe, la richiesta è rivolta proprio alla ricerca di questo benessere pratico.

 

A questo proposito, secondo lei in Italia quanto conta la ricerca della felicità rispetto al resto del mondo?

Nel rispondere a questa domanda voglio essere “sferzante”, perché so che certe asserzioni possono essere da stimolo, soprattutto per chi leggerà l’intervista. Ho osservato che in Italia c’è una certa mediocrità nella ricerca della felicità. Mi spiego meglio. Noi italiani abbiamo paura, paura di vivere momenti felici, di lasciarci inondare da essi, di essere permeati dalla felicità. Ricordiamoci che il Dopoguerra è passato di recente, per cui ci sono stati tanti casi determinanti in Italia che ci hanno creato instabilità. L’italiano ha paura di essere felice oggi, perché teme di non poterlo essere domani. Pertanto la mediocrità di pensiero lo porta a dire “mi accontento di poco, così non mi disabituo del tutto all’infelicità”. Ma nel cuore delle persone, lo vedo, il bisogno di una felicità autentica, totalizzante è sempre più chiara e netta e spero che nel tempo questa esigenza riesca a far superare tutti i timori.

Ha trascorso molti anni in India e poi a causa di una vicenda “spiacevole” è tornato in Italia. Cosa le manca dell’India e cosa invece le mancherebbe dell’Italia se dovesse trasferirsi nuovamente?

Quando penso ai momenti vissuti in India, dell’India mi manca sostanzialmente tutto. Mi manca quella pace, quell’armonia che si trovava nel fare le cose semplici. Quando vivevo lì e mi spostavo a bordo del mio scooter, spesso mi capitava di fermarmi ai bordi delle strade per osservare i bambini che giocavano con le ruote delle biciclette, gli anziani che si divertivano tra loro lanciando dei sassolini. Mi affascinava la loro capacità di poter vivere una vita con dei desideri limitati, conservando così un potenziale illimitato. Ciò che quei bambini e quegli anziani mi hanno insegnato in quelle scene di vita, è un concetto che era anche nella saggezza dei nostri nonni, ovvero che la semplicità è tutto.
Dell’Italia mi mancherebbe ciò che mi è mancato in India, la sua bellezza, da ogni punto di vista. Dal punto di vista sensoriale, culturale. Dell’Italia mi mancherebbe tutto ciò di cui noi italiani riusciamo ad accorgerci nel momento stesso in cui siamo altrove. È anche per questo che tengo i Workshock, per dire alle persone “guarda che meraviglia ti circonda e guarda quanta ce n’è in te”.

Il nostro giornale si occupa di buone notizia dall’Italia, per noi lei è una gran buona notizia…qual è la sua, quella che vorrebbe dare ai nostri lettori?

Durante i miei training dico sempre: esiste un solo “maestro” e questo maestro risiede in noi; se saremo disposti ad ascoltarlo e ci interrogheremo sul come fare a riconoscerlo, la buona notizia è che dentro di noi in qualche forma ci risponderà.

 

C’è qualche novità che vorrebbe darci in esclusiva?

La novità riguarda la crescita della ricerca del benessere all’interno degli ambienti di lavoro. Ho osservato come grazie al passaparola, ma anche grazie al lavoro dei media e ai canali di diffusone in generale, le aziende siano sempre più disposte ad investire su attività pratiche e concrete come quelle che svolgo io, ma che svolgono anche tante altre persone. Per me rappresenta una novità rispetto a quattro, cinque anni fa. Spesso incontro situazioni aziendali-famigliari in cui vige ancora la legge del padre-padrone. Tengo dei coach con degli imprenditori che hanno 45-50 anni e una delle frustrazioni maggiori è la presenza di genitori all’interno dell’azienda, che in realtà dettano ancora legge, creando questa lotta intestina tra l’innovazione che è la felicità e il conservatorismo di chi vuole avere sempre l’ultima parola. Per me questa è una bella notizia. Per quello che mi riguarda siamo sempre in esplorazione, ogni anno ci sono nuovi passi che anch’io compio per favorire questo nuovo processo.

 

(Foto inserite nell’articolo selezionate dalla pagina Facebook di Richard Romagnoli).

Martina Tormen

 

 

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