Nel panorama digitale contemporaneo, i social network sono diventati strumenti fondamentali per la comunicazione, l’informazione e l’intrattenimento. Tuttavia, dietro la facciata scintillante delle piattaforme online si celano meccanismi di controllo e manipolazione che influenzano profondamente le nostre vite. SERENA MAZZINI, esperta di social media strategy e critica dei new media, affronta questi temi nel suo libro ‘Il lato oscuro dei social network’, pubblicato nel marzo 2025 da Rizzoli.
Viviamo immersi in un ambiente digitale dove i social network non sono più soltanto strumenti di connessione, ma vere e proprie estensioni della nostra identità. In Il lato oscuro dei social network, Serena Mazzini esplora con lucidità e senso critico le dinamiche sottili, talvolta tossiche, che regolano l’ecosistema dei social. Il libro è una sorta di radiografia culturale e psicologica della nostra relazione quotidiana con il mondo online, e invita a una presa di coscienza profonda.
Il volto nascosto della visibilità

Uno dei punti centrali dell’opera è la trasformazione della visibilità in un’ossessione. Mazzini descrive come le piattaforme abbiano istituzionalizzato un modello basato sulla performance: più contenuti, più interazioni, più emozioni forti. Questo sistema, apparentemente meritocratico, premia in realtà chi è disposto a esporsi di più, chi grida più forte, chi estremizza il proprio comportamento o la propria intimità. Ne nasce una cultura del “più è meglio” dove la distinzione tra ciò che è autentico e ciò che è costruito perde ogni valore.
L’economia dell’esposizione
Attraverso esempi concreti, l’autrice mostra come ogni ambito della vita — dall’infanzia all’attivismo, dalla malattia all’altruismo — possa diventare un contenuto monetizzabile. I social, infatti, trasformano tutto in prodotto: il dolore, la generosità, la maternità, perfino l’etica. Le figure pubbliche che più hanno successo non sono necessariamente le più competenti, ma le più abili a rendersi “consumabili”.
Non manca un focus particolare sulla monetizzazione dei minori: un tema scomodo e spesso rimosso, che Mazzini affronta con coraggio. L’infanzia diventa contenuto; i bambini, personaggi inconsapevoli di uno show permanente, portano visualizzazioni e quindi denaro.
Un’infrastruttura che manipola
L’algoritmo non è neutrale, ci ricorda l’autrice. Le piattaforme non mostrano ciò che è vero o utile, ma ciò che trattiene l’utente. Il coinvolgimento emotivo — spesso negativo — è la moneta più preziosa. Rabbia, indignazione, paura: sono questi i carburanti di un motore che ha bisogno di clic per sopravvivere. Chi urla, vince. Chi riflette, scompare.
Questo meccanismo ha ripercussioni gravi sulla qualità dell’informazione e sulla salute mentale. L’utente, spinto a interagire compulsivamente, perde progressivamente la capacità di distinguere tra informazione e intrattenimento, tra attenzione autentica e dipendenza.
“Sopravvivere in un ambiente simile implica sacrificare il proprio benessere emotivo, la propria identità più autentica e persino rinunciare a un’etica condivisa”: in questo passo, Mazzini evidenzia come l’uso dei social possa compromettere la nostra autenticità e valori morali.
Verso una consapevolezza digitale
Nonostante il tono critico, il libro non è un atto d’accusa fine a sé stesso. È piuttosto un invito a riflettere, a recuperare il controllo del nostro tempo e della nostra attenzione. Mazzini propone una via d’uscita possibile: educazione all’uso consapevole, protezione della sfera privata, responsabilità nell’uso delle piattaforme. Il cambiamento, ci suggerisce, non potrà venire dagli algoritmi, ma dalla nostra capacità di resistere alla loro logica.
Il lato oscuro dei social network è un’opera necessaria. In un’epoca in cui siamo tutti, volontariamente o meno, protagonisti e spettatori del nostro “palcoscenico digitale”, Mazzini ci invita a chiederci: chi sta scrivendo il copione? E, soprattutto, chi ci guadagna davvero?
Il libro si inserisce con forza e lucidità nel dibattito contemporaneo sul futuro del digitale. Non offre soluzioni facili, ma propone domande essenziali — e, in un mondo saturo di risposte preconfezionate, questa è già una forma di libertà.
Contributo a cura di Chiara Vannini