In Corso di Porta Romana, a Milano, apre RAW Restaurant: una nuova visione di cucina dove la materia prima è protagonista assoluta in maniera concreta, senza sottigliezze verbose. Cruda, pura, grezza, ma pronta a trasformarsi in qualcosa di sorprendente.
RAW è molto più di un ristorante. È un manifesto gastronomico che celebra l’origine dell’l’ingrediente così com’è, nella sua forma più essenziale e dove il concetto di stagionalità, così difficile ora rispettare, per quanto possibile, diventa quotidianità. Aperto da poco più di 6 mesi, RAW ha già conquistato quella fetta di milanesi che ama i ristoranti meno tradizionali ma semplici, contemporanei, comprensibili in quei gusti che riportano alla mente ricette già assaggiate o l’ingrediente nella sua effettiva essenza.
Dietro il progetto ci sono tre anime diverse ma complementari: Petra Cucci, ex addetta stampa specializzata nel mondo food&wine, ora imprenditrice orgogliosa e felice, Fiorina Di Francesco, appassionata e profonda conoscitrice della ristorazione, e G.A.L.A. Fruit srl, fornitore del Mercato Ortofrutticolo di Milano (Sogemi), cuore pulsante da cui parte ogni giorno il viaggio del gusto.
La materia prima come ispirazione quotidiana
Essere RAW significa partire dalla terra. Significa ascoltare ciò che offre il mercato ogni mattina e trasformarlo in un’esperienza culinaria autentica. Il menù non è fisso: cambia con il tempo, con il clima, con l’umore della natura. Come sulle lavagne a gesso dei bistrot parigini, da RAW la carta si riscrive spesso, talvolta anche tra un servizio e l’altro.
Il concetto è tanto semplice quanto rivoluzionario: scegliere solo ciò che è fresco, vivo, interessante. Valorizzare piccoli produttori, aziende agricole d’eccellenza, varietà stagionali spesso dimenticate, portandole a tavola con un rispetto che si sente nel gusto.
Due anime, una sola cucina
RAW si adatta al ritmo della giornata. A pranzo, la proposta è agile e leggera, pensata per chi ha poco tempo ma non vuole rinunciare alla qualità. La sera, invece, si apre lo spazio della sperimentazione: piatti più strutturati, proposte degustazione e un’atmosfera che invita alla scoperta lenta.

3 i MENÚ: RAW, CARPE DIEM E LIBERA MENTE, tutti in abbinamento coi vini, e un menu ALLA CARTA davvero sorprendente: nessuna nomenclatura particolare, bensì il nome della materia prima o della ricetta, lavorate come mai ce lo si aspetterebbe, che esalta in maniera non tradizionale il gusto dell’ingrediente. I prezzi nella norma e, anzi, per Milano, è un’assoluta novità!

La cucina è completamente aperta: il cliente osserva, dialoga, partecipa. Lo chef table affacciato sul pass è il palcoscenico dove va in scena la trasformazione dell’ingrediente, dal crudo alla creazione finita. Per chi cerca maggiore intimità, una seconda sala elegante offre un’esperienza più riservata, ma sempre calda e accogliente.
Un team giovane, una visione chiara
A guidare la cucina c’è Enrico Ferrari, Executive Chef, con una formazione che parte da ALMA e passa per cucine d’eccellenza come Uliassi e l’Eligo di Losanna. Il suo stile è fatto di semplicità raffinata, tecnica e rispetto per la materia prima. Ogni piatto è essenziale ma potente, pensato per lasciare spazio all’ingrediente, non per coprirlo.
Accanto a lui, Alessia Pulcini, Executive Pastry Chef, porta il mondo del dolce a un livello pari a quello della cucina salata. Pane e dessert sono prodotti internamente, con un occhio attento alla pastificazione vegetale e all’eredità della pasticceria francese.

Completa l’atmosfera “Raw”, una Wine Room davvero particolare: una sala dai toni caldi, eleganti, con le pareti che si imprimono subito alla vista. I disegni si ispirano, infatti, alla forma di una verza – uno degli ortaggi più iconici alla base di alcune ricette tradizionali lombarde – con le sue nervature naturali, che raccontano l’identità gastronomica milanese. Insieme, la luminosa cantina a vista, che contiene una gamma vini dinamica – curata dalla titolare stessa – libera da classificazioni rigide. La sua selezione spazia tra piccole cantine e realtà virtuose, per una proposta che cambia con la stessa naturalezza del menù.
RAW è anche cultura: uno spazio vivo
RAW non è solo un ristorante, ma anche un luogo di incontro. Eventi, degustazioni e serate a tema coinvolgeranno agricoltori, produttori, scrittori, vignaioli e pensatori del cibo. Persone che vivono la materia prima ogni giorno e ne conoscono la storia, la fatica e la bellezza.
RAW diventa così una piazza contemporanea dove il cibo è al centro del racconto. Un progetto che mette insieme gusto, etica e cultura, e che promette di essere una delle novità più interessanti nel panorama gastronomico milanese.

♦L’Altraitalia ha avuto il piacere di scambiare qualche chiacchiera con lo chef:
- Perchè RAW? Quale filosofia gastronomica ha mosso le tue creazioni Raw?
RAW sta per grezzo, crudo come la materia prima da cui partiamo, che selezioniamo con cura maniacale e lavoriamo prendendocene cura, con l’intento di valorizzarla, preservarla e mai snaturarla.

Ho sposato il progetto appena me l’hanno raccontato: amo la cucina di gusto, dove riesco a partire da un ingrediente e arrivare a metterlo nel piatto preservandone il sapore. Il mio lavoro quotidiano parte prima della cucina dalla selezione dei fornitori, tutte quelle piccole realtà che fanno bene.
- Vi servite giornalmente dei prodotti del mercato ortofrutticolo di Milano – Sogemi: vi ha aiutato a creare una clientela affezionata?
Uno dei due soci del ristorante opera presso il Mercato con Gala Fruit, player di valore nella fornitura di vegetali alla ristorazione milanese. Il filo diretto con lui ci garantisce una fornitura di prodotti selezionati, freschissimi, particolari. Utilizziamo anche altri fornitori del Mercato, pesce e carne in base alle necessità del menu, ci approvvigioniamo ogni giorno al Sogemi, il mercato ortofrutticolo di Milano, un vero cuore pulsante di biodiversità e qualità italiana, dove piccoli produttori e aziende agricole d’eccellenza portano il frutto del loro lavoro: il nostro omaggio alle tante filiere agricole italiane che combattono quotidianamente in un momento economico non sicuramente dei più facili, per produrre comunque il meglio.
Sicuramente, questo, ci crea un rapporto diretto e speciale con il nostro pubblico che, avendo la possibilità di conoscere i prodotti delle aziende agricole con cui ci rapportiamo, stimolano la loro curiosità a saperne di più e a seguire le evoluzioni. Questo credo sia un modo facile per creare empatia: al ristorante si viene anche per imparare ciò che si ha nel piatto
3. Esiste un ingrediente che Raw che non manca mai nella tua cucina, uno a cui sei particolarmente legato?
Più che ad un ingrediente sono particolarmente legato ad una cottura, ovvero la brace: in cucina abbiamo un kamado che utilizziamo per molte preparazioni. E’ una preparazione che lego alla famiglia e agli amici, con le grigliate della domenica. La brace ha un profumo che mi è caro, quando la cucina è condivisione e socialità è capace di legare cuore, emozioni e professione.
- Il menù evolve con le stagioni ( quando possibile, ormai possiamo dire) : quali sono le difficoltà che eventualmente incontri nel proporre piatti gourmet RAW STYLE in modo sempre nuovo?
Quando mi hanno raccontato il progetto e il desiderio di interpretare la stagionalità portandola all’estremo, più che ad una difficoltà ho pensato ad una grande opportunità! Riuscire ad adattarmi alle disponibilità del mercato è uno stimolo costante, che mi permette davvero di partire dall’ingrediente più che dall’idea di un piatto.

La natura ci offre prodotti speciali, talvolta poco conosciuti, che sono disponibili anche per pochi giorni. Poter mettere al servizio di questa piccola follia la mia creatività è il mio RAW-STIMOLO più grande.
RAW non è solo un modo di cucinare. È un modo di pensare.
È la volontà di restituire centralità alla materia grezza, con profondo rispetto per la natura e per chi la custodisce.
È una cucina essenziale, sincera, che non ha bisogno di sovrastrutture per emozionare. Perché quando un ingrediente è trattato con cura, è già tutto.
Sta a noi ascoltarlo.
A cura di Chiara Vannini