Il diritto alla buona notizia

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Viviamo in un tempo che sembra avere smarrito il respiro lungo della speranza. Il mondo si stringe intorno a conflitti incessanti, tensioni geopolitiche, un clima sociale teso come una corda pronta a spezzarsi. In questo scenario, fare buona informazione — e soprattutto, dare buone notizie — sembra quasi un atto di ingenuità, se non di ribellione.

Eppure, è proprio nei momenti di maggiore oscurità che la luce delle buone notizie diventa necessaria. Raccontare ciò che funziona, ciò che si costruisce invece di distruggere, ciò che cura invece di ferire, è un modo per difendere la possibilità stessa di un futuro.

Il problema è che oggi domina un clima di ansia permanente. Le notizie arrivano a raffica, spesso sganciate dal contesto, come piccole esplosioni emotive. La paura fa audience. Il dolore tiene incollati gli occhi allo schermo.

La nostra missione, come attività giornalistica inseriti nella società civile, ha la responsabilità di assecondare il panico. Dobbiamo tornare a credere nella complessità, nella lentezza del racconto, nella possibilità di mostrare il bene non come eccezione favolistica, ma come parte reale — e spesso silenziosa — del mondo.

 

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Questo non significa chiudere gli occhi davanti alle tragedie, ma allenare lo sguardo anche verso ciò che cresce. Le buone notizie esistono, nonostante tutto: ma per raccontarle, bisogna volerle vedere.

 

La Redazione

 

 

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