⌈L’editoriale⌉
In un’Italia dove i ristoranti ( e il comparto della ristorazione in genere) sembrano attraversare una fase confusa, tra rincari, carenza di personale e mutamenti nelle abitudini dei consumatori, emergono – spesso sotto traccia – storie che raccontano un’altra Italia. Un’Italia che non si arrende, ma si reinventa.
La scena gastronomica italiana è ancora viva, pulsante, fatta di persone che resistono con creatività, comunità che riscoprono il valore del cibo come linguaggio comune, e giovani che scelgono di restare o tornare per costruire valore sul territorio. Nonostante le difficoltà, si moltiplicano progetti di ristorazione sostenibile, ristoranti a filiere corte, e nuove forme di ospitalità che rimettono al centro la relazione, prima ancora che il prodotto.
È una stagione di transizione, certo. Ma anche di nuove possibilità. La confusione – come spesso accade nei momenti di passaggio – è fertile. Per ogni ristorante che chiude, c’è un’idea che nasce; per ogni crisi, una comunità che si organizza. L’altra Italia del food è fatta di panifici di quartiere che diventano centri culturali, di chef che si fanno attivisti, di cuoche che tornano nei borghi per raccontare storie vere, buone, necessarie.
Questa è l’Italia che ha ancora fame: non solo di cibo, ma di senso, bellezza e futuro condiviso.