Giorgio Armani: l’uomo che ha insegnato l’eleganza del silenzio

giorgio armani

Custodisco gelosamente dei jeans marchiati con l’aquilotto GA che, da ragazzina degli anni 90/2000, mi facevano sentire ” in ordine”  e con uno stile tutto mio. Gamma colori del blu – il colore dell’eleganza formale e che “sta bene su tutto e con tutto” , fino a un recente acquisto di un pantalone di cotone bianco, morbidissimo e vellutato,  con le piccole iniziali coronata da brillantini. E tanti altri capi, per lo più estivi, che indosso sempre con allegro piacere, sentendomi sempre particolarmente “stilosa”. Conservo anche la prima boccetta di profumo targato Giorgio Armani – ACQUA DI GIÓ – :  una fragranza che sento ancora nel naso e che ha inebriato i miei maglioni preferiti.

Indossare un capo Armani, insomma, significa tutt’ora esprimere una propria personalità e dedicarsi a persone in grado di percepire e apprezzare un certo stile: perchè Giorgio Armani, non ha vestito solo corpi, ma anime, teste, sensibilità. Figure che sembrano appartenere più al mito che alla realtà, presenze radicate nei nostri armadi quasi, tali da apparire eterne:le sue giacche, scolpite, misurate, immortali , i suoi colori, sobri , ma così vicini alla nostra quotidinità, lavorativa e professionale, sembravano sempre rispondere ad ogni esigenza delle varie stagioni della vita. 

Il Sig. Armani, Re Giorgio, se n’è andato il 4 settembre all’età di 91 anni, in silenzio, con discrezione, come discrete erano le linee dei suoi tailleur.

La sua eredità va ben oltre gli abiti. È un’idea di bellezza che non passa mai di moda.  È il coraggio di sottrarre quando tutti aggiungono. È la fiducia nel tempo, nella coerenza, nella dignità del lavoro ben fatto.

L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare

diceva.  Un pensiero nitido. Una postura esistenziale. Una visione del mondo.

In un’epoca dove tutto corre e si consuma, Armani ci lascia con un messaggio controcorrente: la semplicità è forza. La disciplina è bellezza. L’amore è ciò che resta.

Addio, Re Giorgio. E grazie.

Editoriale a cura di Chiara Vannini

 

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