Editoriale: mangiare bene è diventato un privilegio, la salute pubblica non è per tutti

dieta mediterranea

⌈di Chiara Vannini⌉

Siamo il Paese che ha inventato la Dieta Mediterranea ma non sa più cosa significa. Anzi, siamo il Paese che ne ha fatto un simbolo identitario, una bandiera da sventolare nelle fiere, ma non una politica da attuare nella vita reale.

Siamo anche il Paese con il più alto tasso di obesità infantile in Europa occidentale. Secondo i dati del Ministero della Salute, quasi 1 bambino su 3 tra i 6 e i 9 anni è in sovrappeso o obeso. Eppure, quando si parla di nutrizione e salute pubblica, la risposta della politica è il silenzio.

Mentre il mondo introduce tasse sullo zucchero e etichettature a semaforo per guidare i consumatori verso scelte consapevoli, in Italia il dibattito è spesso deragliato verso la difesa d’ufficio di Coca-Cola e Nutella. E intanto, l’educazione alimentare resta un’eccezione in aula, affidata all’iniziativa di qualche insegnante o a progetti inefficienti come “Frutta nelle scuole”, noto più per gli sprechi che per l’impatto.

La favola della Dieta Mediterranea

Il 13 ottobre a Milano, durante l’evento “Mediterranean Diet: a tool for the Agenda 2030” promosso dal Milan Urban Food Policy Pact, si torna finalmente a parlare di Dieta Mediterranea come modello sostenibile. Un’occasione preziosa per ricordare che non è solo un insieme di ricette, ma un sistema complesso di valori, filiere, pratiche agricole, consumo consapevole, convivialità e salute.

Un modello che può — e deve — contribuire agli obiettivi dell’Agenda ONU 2030, se solo avessimo il coraggio di trasformarlo in azione pubblica.

Per farlo, però, serve una visione nazionale, non solo la buona volontà di sindaci e docenti. Serve una politica del cibo che unisca salute, ambiente, educazione e filiera. Serve che il Ministero della Salute — finora assente — si riprenda il suo ruolo.

Tra bufale e lobby

Nel frattempo, in Italia si può dire tutto e il contrario di tutto su alimentazione e salute, senza che nessuno intervenga. Le fake news sul cibo proliferano: il pomodoro cinese sulle pizze, il grano canadese radioattivo, l’olio tunisino spacciato per extravergine. Tutto fa brodo per alimentare la paura e proteggere le rendite. Ma chi tutela davvero il consumatore?

Gli unici a pagare il prezzo di questa disinformazione sono i cittadini — e i bambini, soprattutto — lasciati senza strumenti educativi, senza filtri, senza una bussola.

Serve una legge sul cibo

Oggi più che mai serve una legge quadro sul diritto al cibo, che affronti in modo integrato salute pubblica, educazione, produzione, sprechi e disuguaglianze alimentari. Serve trasformare la Dieta Mediterranea da oggetto di marketing a strumento legislativo.

L’etichetta a semaforo non è il nemico, come non lo è una tassa ragionata sulle bevande zuccherate. Il nemico è la miopia politica, che non vede la malnutrizione che cresce sotto casa, né le opportunità di innovazione che può offrire una cultura alimentare sana, consapevole e sostenibile.

Lunedì, a Milano, si parlerà di tutto questo. La domanda è: basterà un convegno a cambiare una cultura politica che ha paura di parlare di zucchero, merendine e salute?

 

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