La morte di Ornella Vanoni lascia un silenzio che pesa più del previsto. Non era solo una cantante: era un volto dell’Italia, una presenza che univa generazioni e città, un modo tutto suo di essere elegante, fragile, ironica e profondamente vera. Con lei se ne va un pezzo di quella nostalgia buona, quella che profuma di teatri, milanesità, confidenze sussurrate e canzoni che restano addosso.
In questi giorni l’Italia si è stretta attorno al suo ricordo, come se la sua voce fosse stata un filo invisibile che ci teneva insieme. E forse lo era davvero.

Il suo ultimo duetto, “Sant’Allegria” con Mahmood, oggi assume un significato quasi profetico: lì c’era il passato che non si arrende, il presente che ascolta e il futuro che nasce. Mahmood cantava con la delicatezza di chi riceve un’eredità; Ornella, con quella voce vibrante e spezzata, sembrava dire che la bellezza non finisce, cambia semplicemente voce.
È così che la ricordiamo ora: come un passaggio di testimone gentile.
Il vecchio che non muore nel giovane, ma lo illumina.
Ornella Vanoni se ne va, ma non davvero. Rimane nella sua musica, nella sua ironia, nel modo in cui ha insegnato che si può essere profondi senza essere pesanti. E ogni volta che avremo nostalgia di un’Italia che sapeva emozionare con poco, basterà riascoltarla.
E a noi, pungenti ma sinceri come lei, sarebbe piaciuto intervistarla.
Ciao Ornella
La Redazione
