Il Natale è anche il tempo in cui ci si ferma a guardare indietro. Non tanto per nostalgia, quanto per capire da dove veniamo e cosa ci ha portati fin qui. Alcune storie, più di altre, aiutano a farlo perché non parlano solo di successo o di impresa, ma di continuità, di passaggi di mano, di idee che cambiano forma senza perdere significato.
La storia delBiscottificio Maggiora è una di queste. Non è soltanto il racconto di un’azienda che cresce, ma di un linguaggio che si trasmette: quello del lavoro fatto con serietà, dell’immaginazione applicata alla realtà, della capacità di interpretare il proprio tempo senza rincorrerlo. Dal Piemonte rurale fino all’orizzonte industriale di Torino, ciò che resta costante è un modo di stare al mondo prima ancora che sul mercato.
Dentro questa eredità si muove la figura di Giuseppe “Gip” Maggiora, che ha abitato il confine tra impresa e creazione artistica, tra produzione e visione. Un confine sottile, spesso scomodo, ma fertile. La sua esperienza mostra come l’impresa possa diventare anche un atto culturale, capace di generare immaginario, oltre che prodotti.
Oggi, a distanza di generazioni, quella storia non è un capitolo chiuso, ma una materia viva che continua a interrogare il presente. È da qui che nasce il confronto con chi ha ereditato non solo un nome, ma una responsabilità: come si custodisce una memoria senza trasformarla in nostalgia? E come può un gesto, apparentemente semplice, continuare a parlare al futuro?
Oggi quella storia vive nella nuova generazione, nelle figlie e nipoti che portano avanti il marchio di famiglia e nella Villa La Maggiorana, trasformata in scuola di arte culinaria, dove memoria, creatività e lavoro quotidiano continuano a trasformarsi in innovazione e passione.
Proprio a partire da questa storia, abbiamo sentito la visione di Carolina, una delle componenti della nuova generazione:
In che modo la storia del Biscottificio Maggiora mostra come un gesto quotidiano possa diventare innovazione industriale e cambiamento sociale nell’Italia del dopoguerra?
Tutti i successi imprenditoriali, nel dopoguerra, ma anche prima di esso, sono nati da “visioni” che hanno portato all’innovazione
Dalla Rivoluzione Industriale nell’Inghilterra del primo ‘800, sino ad arrivare alle attualissime visioni come quelle che hanno portato oggi al riutilizzo dei razzi lanciatori per i satelliti, dall’immensamente grande, all’immensamente piccolo, troviamo un unico elemento a minimo comun denominatore: l’innovazione!
Alle volte basta saper trasformare un vincolo in opportunità!
Lo fece mio bis nonno quando, nel 1929, decise di investire tutto il suo capitale nell’acquisto di un vagone di forme di Gorgonzola, porzionarle e venderle porta a porta, coprendo in bicicletta le strade della provincia di Asti ( aveva imparato dai francesi che sarebbe stato opportuno vendere i formaggi in porzioni gia confezionate anzichè in forme giganti? Chissà!)
Fu cosi che il successo commerciale di quell’iniziativa che innovava un metodo consolidato di vendere un formaggio, generò la possibilità di acquistare un primo negozio di pasticceria nel quale vendere le produzioni del forno che già era di proprietà.
Donne al lavoro nell’antica azienda del biscottificio Maggiora
Fu l’osservazione dei processi di lavorazione dei prodotti che il forno cuoceva, che il negozio vendeva, e la necessità di poter rispondere con tempi e metodi che consentissero di poter soddisfare le sempre maggiori richieste, che mio bisnonno decise di provare ad adottare il concetto di “catena di montaggio” mettendo a punto un sistema di cottura al forno con i biscotti, che viaggiavano su nastro trasportatore, passando dentro ai forni ed uscendone cotti a puntino…
Fu cosi che a Collegno si sviluppò l’industria Maggiora, definendo a “sistema” un gesto manuale che nulla toglieva alla qualità della ricetta tradizionale
2. Come può oggi la figura dell’imprenditore-artista raccontarci un altro modo di fare impresa, capace di tenere insieme visione industriale, responsabilità culturale e memoria personale? (domanda a cui ha risposto la mamma di Carolina – Erica Maggiora – chef e cordon bleu, antica associazione di chef francesi che indossavano un nastro blu intorno al collo per distinguersi dai loro colleghi)
L’arte espressa dallo chef in cucina, é certamente funzione della sua sensibilità e creatività, ma lo chef ha dei rigidi vincoli rispetto ad un artista, dato che la sua fantasia non può arrivare ad esprimersi sino a creazioni che non abbiano una direzione precisa, mentre l’artista può arrivare tranquillamente al “non sense”.
Ecco perché preferisco parlare di artigianalità in cucina che di vera e propria arte.
Noi chef dobbiamo arrivare a generare emozioni impegnandoci a soddisfare e coinvolgere vista, olfatto, tatto e gusto, in maniera tale che tutti assieme arrivino a decretare il successo di un piatto.
Ecco, sì, parlerei più di un imprenditore/artigiano, riferendomi a chi, della buona cucina, ha fatto il suo mestiere; quindi si, in questo senso mi posso definire imprenditrice artigiana.
Il resto: responsabilità culturale, memoria personale, se intesi come orgoglio di appartenenza ad un nome, ad una famiglia che ha scritto un pezzo importante della storia industriale di questo Paese, attiene di più alla mia educazione personale ed ai valori ai quali mi sono da sempre riferita.
Questi sono i punti cardinali che mi hanno aiutata a costruire la rotta che mi ha portata sin qui, recuperando le ricette tradizionali integrandole con ciò che il mio mestiere mi ha suggerito di fare, per poterle migliorare oltre che per crearne di nuove.
In questo, parlando di mestiere, mi riferisco al fatto che già all’età di 18 anni, sono diventata insegnante di cucina, seguendo le orme di mia mamma che fondò la prima scuola di cucina in Piemonte, dopo aver collaborato con i più illustri chef italiani e francesi. Ecco che una tradizione può così continuare e proiettarsi nel futuro anche grazie alle mia due figlie Carolina e Camilla che, con ruoli diversi, si sono unite a me in questo progetto di rilancio della nostra tradizione, ma in una versione tutta al femminile.